LA CULTURA FILOSOFICA E SCIENTIFICA DEL DOTT. CARMINE CORREALE.
“L’ INCANTEVOLE CAMMINO DELLA VITA. (288 pagine, pubblicato nel 2011).
SAGGIO N° 47
IL DIRE, IL FARE
Indica la perentoria comunicazione con l’espressione verbale, come base programmatrice della vita, attraverso la quale si raggiunge un’intesa irrilevante nei confronti dell’azione o del fare; “dal dire al fare, c’è di mezzo il mare!”.
Esso può avere un valore dichiarativo, interpretativo, asseverativo o imperativo e può anche indicare la condizione e la possibilità con un significato che evidenzia l’importanza dei particolari atteggiamenti o comportamenti del soggetto.
Ad ogni specifico verbo, è attribuito il senso della reazione comportamentale e da questa dizione, e imposto una precisa indicazione di fare o dover fare una determinata cosa, che potrebbe diventare perentoria configurandosi in un preciso ordine.
Nella poetica medioevale, il dire indicava l’attività dell’autore capace di concretarsi in un’opera letteraria, in pratica: l’arte del dire in rime, che sin dalla nascita dell’universo e dai secoli successivi, ha raccolto tutta l’attività intellettuale interpretativa.
Accanto al dire, come accennato in precedenza, troviamo “il fare” e questo verbo rappresenta in tutta la sua interezza espressiva, l’azione positiva, non meglio definita e quindi efficacemente contrapposta al dire, al quale si affaccia in opposizione il termine “disfare”.
Proprio questo termine in parte relegato alla ribellione, determina in tutta la sua forma controversa la , negazione e l’annullamento dell’azione, assumendo un aspetto deleterio, specialmente nei confronti di una creazione utile e ricca di costrutto.
Questa sfumatura, definisce però nel voler fare l’opposto o di subire talune volte, le stesse azioni contrarie come una casualità necessaria e predestinata al soggetto, che non riesce a scansare il colpo impertinente “chi di lama ferisce di spada stessa perisce!”.
Il fare è altresì un verbo indicativo per tutto ciò che concerne la professione; una qualità espressiva che rende comprensibile ogni attività personale. Ad esempio fare il medico, il muratore, l’assistente, ed anche: “fa lo stupido o il superuomo”, in cui il “fare”, determina quel valore appropriato del fungere.
In altri casi, come: farsi la pelliccia, farsi la macchina, imbarcare o fare acqua, (affondare o avere delle falle) configura una situazione, in cui il valore della realtà momentanea, si altera, determinando una situazione di scompenso e di pericolo.
Pertanto il fare è una voce che troviamo in un gran numero di modi di dire e di proverbi, spesso accattivanti e curiosi nel voler esprimere un riferimento reale, che a volte tende con sarcasmo ad alterare la raffinatezza del vero significato.
“Fare l’indiano”, è il proverbio della recita circa la funzione reale della persona, il quale finge sfacciatamente di ignorare le cose, di cui conosce bene ed è altrettanto bene informato, ma continua a fingere di non capire.
“Farsela addosso”, si configura in colui che sopraffatto dalla paura è dal considerevole terrore che lo rende inerme, quasi inattivo nelle reazioni vitali, cadendo in un blocco momentaneo, come un intontimento psico-fisico, senza alcuna reazione.
“Farsi animo”, infonde nel soggetto la volontà di dare o prendere coraggio, nonché confortare o confortarsi in determinate situazioni della vita, rabbuiate dallo scoraggiamento, dalla mancanza di reazione, o dalla disperazione.
Così pure “farsi beffe o gioco di alcuno”, potrebbe essere nello stesso tempo un comportamento illogico o inqualificabile, nel senso di indicare con scherno, prendersi gioco di un altro, per disprezzarlo ed ingannarlo.
Attenzione però, che quest’ultimo comportamento potrebbe accendere anche reazioni incontrollate, di chi non ama accettare lo scherzo, finendo sconsideratamente nella morsa dell’ira e della violenza a causa di un’incontrollata reazione.
“A chi te la fa, fagliela!”. Questo modo reattivo, non sempre condiviso, è il risultato abnorme della rabbia ed ira scatenante, che accende il soggetto verso il culmine dell’assurdità, fino al punto di contraccambiare dal male al male.
“Chi la fa, l’aspetti!” è un proverbio ribelle e auspicabile di chi opera ai danni altrui, si aspetta di essere ripagato con la stessa moneta; in ogni caso, consiste sempre di fare un’azione buona o cattiva , oppure operare in qualcosa, che attraverso questo verbo importante, la trasmette in positivo e quindi contrapposta efficacemente al dire che è il verbo del “puro parlare”.
Una particolare riflessione merita il “come dire”, recitato in maniera cronica e ripetitiva in ogni ambiente, in particolare da vari personaggi televisivi, quali conduttori, giornalisti, politici e persino telecronisti sportivi, per dimostrare un ragionamento più raffinato o paritario.
Dal punto di vista della conoscenza letteraria, ogni essere umano è convinto aver imparato bene ed esprimersi meglio, ma quando un oratore, un professore o un predicatore adopera incongruenze del genere, non è più ascoltato con sommo piacere, perché subentra la noia.
Questo termine, da pochi anni è diventata una pessima abitudine contagiosa, un vero e proprio vizio fasullo e insensato, che serve soltanto ad infastidire l’ascoltatore, che ormai non sopporta più tale cantilena ripetitiva dei “come dire” irritanti e spegne il televisore.
Non usarlo così spesso, fa parte della cultura intellettuale che soddisfa la sensibilità dell’oratore, ma usarlo in maniera indiscriminata senza autocontrollo , denota una scialba ideologia illusiva di voler essere un vero genio della parola, che riflettendo, non serve proprio a niente.
Autore: dott. Carmine Correale.
(Poeta, scrittore, saggista, artista e interprete del sublime d’arte e dei dipinti.
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Continuate a leggere domani un nuovo saggio di cultura della vita. Grazie.






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